Ad un anno e un mese esatto dall’ultima alluvione che ha colpito la delegazione di Sestri Ponente e la Media-Bassa Valpolcevera a Genova, ora a pagarne il prezzo dell’intensa pioggia caduta oggi è la Bassa Val Bisagno con Quezzi, San Fruttuoso e Marassi fino alla Foce. Una delle principali e tragiche differenze è che rispetto ad allora i morti sono finora 7 e si spera che non aumentino.
Il fatto che mi lascia un senso di rabbia interiore è che il recentissimo passato non ha insegnato nulla sulla nostra città. Ricordo solo la schietta discussione in Consiglio municipale dello scorso autunno a proposito della nostra zona.
Le cause che hanno portato alla morte, agli allagamenti e alla distruzione di ciò che le acque hanno trovato nel loro percorso, sono classificabili in due ambiti: quelle della natura e quelle dell’uomo.
Innanzitutto non nego che qualcosa sotto il profilo meteorologico sia cambiato, almeno in questo autunno: se parliamo con i nostri nonni non ci sono più quelle piogge moderate e continue che caratterizzavano il periodo autunnale. In Liguria non piove in maniera seria da settembre a parte qualche breve temporale e le recenti piogge torrenziali nel Levante ligure. Stupisce poi questo caldo di novembre di cui pensiamo di goderne beatamente e che invece dovrebbe preoccuparci come giusto quello che notavo ieri sera tornando a casa (stile tropicale).
Poi spaventa da una parte quanta acqua può cadere in così poco tempo (le cd “bombe d’acqua”) e dall’altra fa pensare invece cosa abbiamo fatto finora (poco) per pervenire quanto è successo.
Perché, in secondo luogo, anche il fattore umano fa la sua parte. La zona lungo il torrente Ferreggiano, che giace sotto l’omonima via (!) e che già nella primavera del 2010, alla vigilia delle elezioni regionali, fu oggetto di attenzione per la demolizione di alcuni edifici e la messa in sicurezza della zona, ha dimostrato che non è stato fatto a sufficienza per prevenire quanto è accaduto.
Dunque sono da verificare le responsabilità di cosa non ha funzionato nella zona e capire cosa a monte del torrente ha causato questa tragedia perché poi è anche da qui che nasce il tutto: se non tuteli a monte i versanti, con la conservazione del territorio, a partire dai terrazzamenti e dai boschi, basta una frana che devii il corso dell’acqua e ed ecco la tragedia. La natura si riprende ciò che gli è stato tolto e rioccupa gli spazi che aveva ed è inevitabile che se cementifichi ovunque e tappi i ruscelli che c’erano, questi, se ingrossati, si trovano altre vie dove sfogarsi. Perchè non è la natura impazzita, ma è l’uomo “ingordo” di territorio.
Si guardi al torrente Bisagno. Dalla stazione Brignole fino alla sua foce è coperto: ecco che se c’è troppa acqua e il letto si riduce, da qualche parte deve scaricarsi. Così si crea la “piscina” di Brignole e le “piccole” vasche date dai sottopassaggi, uno spettacolo indecente.
Allora, su quale ruolo gioca il fattore umano in tutto ciò, la risposta, all’interno di un amministrazione comunale, sta nel il Piano Urbanistico Comunale (P.U.C.), giusto oggetto di discussione in questo ciclo amministrativo; in questa sede bisogna verificare, modificare e abbattere ciò che ostacola il regolare deflusso delle acque.
E’ chiaro tanto ai politici quanto ai tecnici della pericolosità della Bassa Val Bisagno. Ma mancano le decisioni.
A tal proposito la Giunta, il Consiglio Comunale e i Municipi si assumano le responsabilità di fare quello che serve. Perché non abbattere i palazzi che ostacolano il corso del torrente Ferreggiano e dedicare parte dell’area del ex Mercato Ortofrutticolo di Corso Sardegna, che è in fase di nuova destinazione alla costruzione di residenze in cui possano trasferirsi persone che vivono negli edifici abbattuti?
Non vorrei trovarmi ancora qualche palazzo che ostacoli un torrente come l’edificio in Via Giotto a Sestri che è ancora lì perché il Comune e la Regione non sono ancora intervenuti nella demolizione e nel dare una valida alternativa a quei cittadini, nonostante ci siano le risorse.
Se tuttavia si facesse più prevenzione (ad esempio pulendo i torrenti e rivi che giusto in questi mesi passati erano belli asciutti) e le risorse fossero gestite in maniera più attenta con il taglio al superfluo, come qualche Notte Bianca e consulenza in meno, forse avremmo più mezzi per intervenire. Sarà certamente demagogia, ma è questo il punto: le risorse e la necessità di fare delle scelte anche impopolari, ma che nel medio e lungo periodo possano ripagare la salute di tutti i cittadini.
A nessuno fa piacere vedere gente portata via dalle acque delle strade in piena, ma nulla accade per caso. Le immagini viste alla TV e su interne non dovrebbero suscitare paura, ma solo indignazione perché quando tornerà la serenità sarà il tempo del calcolo delle vittime, dei danni, ma soprattutto di chi ha delle responsabilità in tutto. Tra queste quella di aver tenuto le scuole aperte, nonostante l’allerta fosse chiara. Tutto ciò a tempo debito.
Ora, in questo frangente di dolore e profonda amarezza di chi ha perso qualcuno o qualcosa, è solo il momento di rimboccarsi le maniche e ringraziare chi, per lavoro e per dovere morale, sta aiutando le persone delle zone colpite.