Il 12 e 13 giugno si terranno i 4 referendum abrogativi sulla gestione dell’acqua, l’energia nucleare e il legittimo impedimento, tutte questioni delicate che riguardano il futuro di questo Paese. Tuttavia prima di addentarmi nel merito delle questioni voglio sottolineare 2 aspetti.
Primo. Si tratta di referendum abrogativi di leggi attualmente in vigore che come tali sono diversi dalla partecipazione al voto per l’elezione delle Camere o dal referendum costituzionale. Quindi la volontà de singolo cittadino può manifestarsi votando per il sì, per il no o astenersi dall’andare a votare. Queste tre modalità scaturiscono dalla volontà di esprimere un’opinione sulle questioni, cosa diversa dal recarsi alle urne per scegliere i futuri governanti della nostre città, del nostro Paese. Premesso che il diritto al voto è sacrosanto, è anche vero che sul referendum (istituto entrato in vigore solo nel 1970) contempla anche la non partecipazione al voto. Tuttavia gli atteggiamenti di chi non vota possono essere due: l’uno quello di un elettore completamente disinteressato sulle materie; l’altro invece è l’atteggiamento di chi è consapevole degli argomenti, ma reputa che le questioni vadano risolte attraverso la dinamica parlamentare e che l’una o un’altra posizione non siano soddisfacenti a risolvere la questione in causa.
Secondo. In questa ultima settimana di campagna elettorale si sostiene la necessità di non politicizzare i referendum, di non mettere il simbolo del partito sui vari temi. Mi sembra che chi in queste ore stia dicendo ciò sia proprio chi fin dall’inizio ha promosso i referendum e ne ha fatto una bandiera politica come l’Italia dei Valori. A questo si sono aggiunti Sinistra, Ecologia e Libertà e, per opportunismo politico, anche il PD.
Quando il centrosinistra era al governo dal 2006 al 2008 aveva preparato un ddl sulle liberalizzazioni dei servizi pubblici (non sono privatizzazioni come impropriamente si dice), sulla scia dell’attuale decreto Ronchi, ma l’allora Ministro Lanzillotta non riuscì a portarlo al voto delle Camere a causa dei veti della sinistra antagonista, pur tutti consapevoli che il Paese doveva adeguarsi alla normativa europea.
PRIMO REFERENDUM
Il quesito vuole abolire l’articolo 15 della legge di conversione 20 novembre 2009, n. 166, recante «Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di, giustizia delle Comunità europee».
L’Unione europea impone la liberalizzazione dei servizi pubblici, in tal senso la liberalizzazione comporta la gestione dei servizi pubblici, quali acqua, rifiuti, trasporti urbani anche da parte di soggetti privati.
L’articolo 15 infatti riguarda l’affidamento della gestione dei servizi pubblici e recita:
Comma 2
Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria:
a) a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica (…).
b) a società a partecipazione mista pubblica e privata, (…) al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento.
Comma 3
In deroga alle modalità di affidamento ordinario di cui al comma 2, (…) l’affidamento può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipata dall’ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta “in house” e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell’attività svolta dalla stessa con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.
È evidente che la gestione potrà essere interamente privata, pubblico-privata, pubblica; l’acqua, come bene, rimane di proprietà pubblica, solo la sua gestione e distribuzione possono essere affidate anche a privati. Si aggiunge che la temporanea gestione dell’acqua da parte del privato (poiché vanno fatte periodicamente delle gare pubbliche), è sottoposta sia ai vincoli del bando pubblico sia alla Commissione nazionale di vigilanza delle risorse idriche, nonché alle Autorità di Ambito territoriale Ottimale (ATO). Quest’ultima presente in ogni regione per le diverse province, ha tra i suoi compiti di l’individuazione di una tariffa del Servizio Idrico Integrato che assicuri la copertura integrale dei costi di gestione.
Quindi il futuro prezzo della tariffa non sarà fissato a piacimento dal privato, ma sarà fissato in maniera tale che i costi di gestione siano totalmente coperti, compresi gli investimenti. Quindi l’ATO avrà il compito di vigilanza sul privato affinché non ci siano speculazioni sulla gestione dell’acqua, ma il suo miglioramento gestionale.
Tuttavia un elemento carente della legge è legato al fatto che si sarebbe potuto costituire un’Authority indipendente, in un’apposita sezione dedicata alle funzioni di vigilanza del settore idrico in seno all’Autorità per l’energia elettrica e il gas, potenziando ulteriormente il controllo sulla gestione del privato.
SECONDO REFERENDUM
E’ indetto il referendum popolare per l’abrogazione del comma 1 dell’art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale», limitatamente alla seguente parte: «dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito».
Il comma 1 recita quanto segue (in neretto quanto potrà essere abrogato):
La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed e’ determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché’ di una quota parte dei costi di funzionamento dell’Autorità d’ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”. Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo.
Abolire questa parte, già stabilita con decreto nel 1996, significa che chiunque gestisca l’acqua non abbia il giusto corrispettivo per il capitale investito, significa un investimento non coperto dall’entrate, disincentivante per l’investimento in se stesso, non migliorando la gestione dell’acqua. Se non fossero investite o incamerate le risorse necessarie, si continuerà ad avere una mala gestione o sprechi di acqua nelle tubature italiane.
Il nostro paese, dove i privati già gestiscono il 9% del sistema, è al secondo posto in Europa (dietro la Grecia) per acqua sprecata (ben il 37,3% di quella immessa in rete secondo la Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche, ben il 47 per cento secondo l’Istat), mentre ci sono città e paesi del Sud che vedono uscire l’acqua dal rubinetto solo due-tre giorni alla settimana e nemmeno nella ricca Firenze è totalmente garantita la sua depurazione.
I problemi degli sprechi in molte regioni del nostro paese, in particolare l’acquedotto pugliese per esempio, sono dovuti ad un erronea gestione dei politici locali, nonché alle carenti risorse presenti nelle casse pubbliche.
Per concludere questo capitolo sull’acqua, alcune brevi considerazioni.
1)Se il decreto Ronchi fosse bocciato, l’Italia incorrerebbe in un’infrazione della Commissione europea e sarebbe comunque necessario intervenire nei termini che permettano la gestione anche privata dei servizi pubblici.
2)L’acqua non viene privatizzata. (decreto legislativo 152 del 2006).
3)Il Decreto Ronchi è carente sul potenziamento della vigilanza del gestore privato.
4)Politicamente parlando chi oggi sostiene i SI’ all’acqua e domani dovesse andare al governo, dovrà comunque dire a quegli stessi elettori “vi abbiamo preso in giro sull’acqua, dobbiamo affidarla anche ai privati”.
5)Se la norma fosse abrogata, si manterrebbe la normativa del TUEL 267/2000 -Titolo V – sulla gestione dei servizi pubblici locali che già prevedeva una parte della normativa del decreto Ronchi e l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito, coerente con le prevalenti condizioni di mercato (articolo 117).
6)Detto questo, ciò che non condivido è quell’ideologia che si è insinuata nel dibattito dei sostenitori del sì secondo la quale il privato sia da considerarsi nemico della buona gestione, causa di lucro e di furberie contro i cittadini e nel contempo si consideri la gestione pubblica come la panacea di ogni situazione (vorrei pensare alla gestione del servizio scolastico da parte dei soggetti riconosciuti dallo Stato che fanno risparmiare all’erario 6 miliardi di euro e penso alla pessima gestione pubblica di AMT a Genova, dove sono state tagliate le corse e aumentati i biglietti; è vero anche che ci sono buone amministrazioni pubbliche e che difficilmente un gestore privato può permettersi una pessima gestione, altrimenti fallirebbe, sempre che non sia aiutato da soldi pubblici).
Infine da laico cattolico quale sono non solo cerco di approfondire e rispondere alle questioni civili in maniera laica, ma da credente guardo anche al magistero della Chiesa.
La Dottrina sociale della Chiesa in uno dei suoi passaggi sull’acqua al numero 485 recita:
“L’acqua, per la sua stessa natura, non può essere trattata come una mera merce tra le altre e il suo uso deve essere razionale e solidale. La sua distribuzione rientra, tradizionalmente, fra le responsabilità di enti pubblici, perché l’acqua è stata sempre considerata come un bene pubblico, caratteristica che va mantenuta qualora la gestione venga affidata al settore privato. Il diritto all’acqua,1011 come tutti i diritti dell’uomo, si basa sulla dignità umana, e non su valutazioni di tipo meramente quantitativo, che considerano l’acqua solo come un bene economico. Senza acqua la vita è minacciata. Dunque, il diritto all’acqua è un diritto universale e inalienabile”
(1011Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2003, 5: AAS 95 (2003) 343; Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Water, an Essential Element for Life. A Contribution of the Delegation of the Holy See on the occasion of the 3rd World Water Forum, Kyoto, 16-23 marzo 2003).
TERZO REFERENDUM
Questo si riferisce al nucleare per l’abrogazione dei commi 1 e 8 dell’articolo 5 del dl 31 marzo 2011 n.34, convertito con modificazioni dalla legge 26 maggio 2011, n.75.
I commi richiamati sono stati modificati con il Decreto “Omnibus” dalla maggioranza di centro destra perché i cittadini non si pronunciassero sull’installazione delle 8 centrali nucleari.
Domenica però si voterà sull’abrogazione di commi che hanno cambiato significato rispetto agli originari.
La vecchia formulazione riguardava il solo comma 1 sull’individuazione delle aree per le centrali nucleari.
La nuova formulazione dell’articolo 5,comma 1, prevede che non si proceda alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, fintanto che non ci siano indicazioni dall’Unione Europea.
Il comma 8 stabilisce che il Consiglio dei Ministri,(…) adotta la Strategia energetica nazionale, che individua le priorità e le misure necessarie al fine di garantire la sicurezza nella produzione di energia, la diversificazione delle fonti energetiche e delle aree geografiche di approvvigionamento, il miglioramento della competitività del sistema energetico nazionale e lo sviluppo delle infrastrutture nella prospettiva del mercato interno europeo, l’incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore energetico e la partecipazione ad accordi internazionali di cooperazione tecnologica, la sostenibilità’ ambientale nella produzione e negli usi dell’energia, anche ai fini della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, la valorizzazione e lo sviluppo di filiere industriali nazionali.
Quindi se prima aveva un senso dire SI’ all’abrogazione della norma per la scelta delle aree delle centrali nucleari, votare oggi SI’ significa, sotto il profilo giuridico, abrogare la norma sulla definizione del piano strategico sull’energia, il coordinamento e lo sviluppo della ricerca con l’UE, Solo sotto un profilo politico votare Si’ significa non volere l’energia nucleare.
QUARTO REFERENDUM
Riguarda l’abrogazione di norme della legge 7 aprile 2010, n. 51, in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale.
Tale legge è stata già depotenziata con l’abrogazione di alcuni articoli con la sentenza 23 del gennaio 2011 della Corte Costituzionale perché ora spetta al giudice il compito di valutare di volta in volta se un’assenza in udienza è giustificata. Bisogna ricordare che in molti paesi europei i titolari del potere esecutivo (se non sono membri del parlamento e quindi non godono delle particolari prerogative dell’essere membro di assemblee elettive) hanno varie forme di protezione penale.
Su questa legge sarebbe stato opportuno procedere con legge costituzionale e non con legge ordinaria, ma è chiaro che le esigenze del Presidente del Consiglio sono più urgenti rispetto alle procedure parlamentari.
PER CHIUDERE
È stata una breve disamina, non esauriente, spero non imprecisa. Ed è per questo che invito gli elettori a informarsi, a confrontare la vecchia e la nuova normativa e a non farsi strumentalizzare da questa o quella parte politica, leggendo tanto le ragioni del SI’, del NO e di chi si astiene dal voto.