Fare presto. Anche per un governo tecnico.

Giunti al capolinea. Sì quello dell’onorevole Presidente Berlusconi che ha visto la sua maggioranza politica fermarsi a 308 deputati alla Camera ieri 8 novembre. Giorni concitati per il Palazzo, ma anche per la finanza italiana. Molti aspettavano un giudizio politico su questa maggioranza che andava avanti a colpi di fiducia e nel rincorrere i deputati perché fossero presenti al voto.

Una giornata importante quella di ieri che ha visto da una parte lo sfaldarsi di una maggioranza politica assoluta, ma dall’altra ha visto anche il senso della responsabilità delle opposizioni nell’astenersi e nel far approvare il Rendiconto generale dello Stato che, benché sia un documento che certifica la chiusura del bilancio dell’anno precedente, è un atto importante di politica economica che bisognava approvare.

Saggio è anche stato mantenere in piedi questo governo per avere i tempi di approvazione della legge di Stabilità (ex legge finanziaria) che determina come debbano essere gestite le risorse pubbliche e quali decisioni debbano essere prese per dare certezze e rilancio al nostro Paese. Il calendario parlamentare sembra chiaro ed entro il fine settimana sarà varata la manovra della finanza italiana.

Detto questo, mi preme sottolineare che l’Italia non è un paese paragonabile alla Grecia e che una certa lettura economica del nostro paese fosse volutamente negativa per il semplice motivo che al Governo ci fosse il presidente Berlusconi e non perché ci fossero dati oggettivi così gravi da certificare che l’Italia sia un paese prossimo al fallimento. Dispiace anche che ad assecondare questa tragica visione del nostro Paese ci sia messa una certa opposizione politica che, invece di difendere l’Italia dalle esternazioni talvolta infondate sull’economia italiana da parte di Commissari europei, portavoci vari e certa stampa europea, dà manforte a questa tesi per screditare il Paese in cui vive, non comprendendo che, invece di limitare a colpire il capo del Governo, colpisce e deride l’intero Paese.

E per questo che non tollero lezioni di politica economica dalla Francia, dalla Germania e del Financial Times quando, invece di indagare e criticare quei Paesi da cui è partita la crisi, pensano a speculare, fiancheggiati dai mercati azionari, sulla finanza italiana. Per questo ho condivido le parole del Presidente Casini che sia domenica sia il giorno delle risate Merkel-Sarkozy è stato l’unico leader dell’opposizione a dire che nessuno può permettersi dall’estero di deridere l’Italia.

Possiamo criticare il suo Premier, ma non il Paese!

Molti se ne sono dimenticati o fanno finta di non ricordare che:

  • la crisi finanziaria è nata negli Stati Uniti e ha colpito subito dopo la Gran Bretagna;

  • in questi due paesi sono fallite diverse banche, mentre in Italia non è fallita nessuna banca perché il nostro sistema bancario, essendo meno aperto all’estero, è rimasto più tutelato dai contraccolpi dei titoli derivati che hanno colpito molte banche europee;

  • il debito italiano, pur alto che sia, è principalmente interno e non dipende dall’estero;

  • la Francia e la Germania, le grandi signore, hanno le proprie banche nazionali piene di titoli di debito greci e non possono far fallire la Grecia, altrimenti i sistemi bancari franco-tedeschi salterebbero e con essi i due pilastri dell’Europa. Altresì ricordo che l’Italia sta aiutando, attraverso il fondo Salva Stati, la Grecia, quindi per una sua parte anche i francesi e i tedeschi;

  • se il debito italiano è alto, tanto più alto, ben di quasi quattro volte di più, il risparmio delle famiglie italiane: un rapporto 1:4 che il resto d’Europa ci invidia.

  • siamo il Paese con la più alta percentuale di famiglie proprietarie di case e meno indebitate sul lato dei mutui e carte di credito.

Ho voluto snocciolare alcuni dati le cui fonti sono la Banca d’Italia e la Commissione europea solo per dire che pensare che, saltato Silvio Berlusconi, i problemi spariscono, è fuori luogo, però è anche vero che il Paese non può essere dipinto peggio di quello che non è. Il nostro metro di giudizio sulla salute dell’Italia non possono essere certo i ristoranti e, come ha ricordato il senatore Pisanu (PdL), l’affollarsi delle mense della Caritas sono un dato preoccupante così come lo è il dato della cassa integrazione dei nostri operai, nonostante i timidi segnali di ripresa dell’export delle imprese italiane. Bisogna agire bene e in fretta per frenare la speculazione sui titoli di debito italiani il cui spread (indice che misura la differenza in punti con i Buoni del Tesoro tedeschi e quelli italiani e che determina l’interesse dei BOT italiani da pagare al compratore) sta salendo alle stelle per via di speculazioni finanziarie più o meno dipendenti dalla debolezza politica del momento.

Avviandomi alla conclusione auspico che, approvata la legge di stabilità, dalle consultazioni emerga la possibilità di un governo di transizione con ampia maggioranza che approvi quelle riforme economiche che questo triennio di governo Berlusconi non è riuscito a fare (perché nulla ha fatto di incisivo per i cittadini e per le imprese a differenza della legislatura 2001-2006), non solo quelle economiche, ma anche la riforma del sistema elettorale che preservi il bipolarismo con un sistema proporzionale maggioritario con preferenza.

Berlusconi lasci il passo a qualcuno più giovane nel suo partito, sia padre nobile del centro destra, assecondi la nascita di una maggioranza politica che comprenda quella parte moderata del paese, esclusa del governo da ormai 5 anni, e sia meno socialista e più liberale, proprio nell’ascoltare le opinioni altrui, smettendo di considerasi eterno. Nessuno è indispensabile.

Per quanto riguarda l’attuale opposizione stiamo certi che non farà grandi passi avanti e non avrà neanche i numeri per vincere perché se l’unica proposta che è riuscita a fare in questi tre anni è stata di gridare alle dimissioni (ancora sabato 5 novembre), in vista non c’è uno straccio di proposta economica e politica alternativa e, qualora vincesse, dovrebbe far approvare quelle riforme di liberalizzazione che l’Europa ci chiede, anche se non so quanta parte di una certa sinistra voglia accettarle (Si veda in tale senso il primo referendum che, ahimè, non riguardava solo l’acqua).

Alcide De Gasperi ricordava che con le consultazioni si entrava in una foresta da cui non facilmente se ne usciva. Spero che questa volta si possa trattare di una semplice passeggiata in giardino. Sì quella del Quirinale.

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